CASO CLINICO: TERAPIA DI PRIMA LINEA E COMORBIDITÀ – Risultati e commento al sondaggio

Grazie per aver partecipato al nostro primo sondaggio d’autunno!

 

Come avete visto, il caso clinico che abbiamo scelto di discutere insieme esplora 50 sfumature di comorbidità ed il ruolo che hanno nel definire la nostra scelta terapeutica.

 

Nel primo scenario, il nostro paziente [giovane (60 aa) e senza comorbidità, candidato al trattamento per anemia da infiltrato midollare, non anomalie di TP53, IGHV unmutated] per la maggioranza dei partecipanti è candidabile a trattamento fixed-duration con venetoclax + obinutuzumab, seguito da terapia continuativa con BTKi (sommando chi sceglie ibrutinib e chi invece preferisce acalabrutinib arriviamo a oltre il 42%, quindi quasi un ex-equo). Stupiscono un po’ gli aficionados della chemioimmunoterapia (tra FCR e BR circa un 11%), a fronte dei dati ormai consolidati degli studi clinici randomizzati che hanno documentato un netto vantaggio in termini di sopravvivenza libera da progressione in questa categoria di pazienti (con unmutated IGHV) (vedasi E1912, ALLIANCE, CLL13).

 

E’ rassicurante notare che il fattore più rilevante nella scelta della terapia, in linea con le linee guida internazionali (ESMO guidelines 2021) è ormai il profilo biologico del paziente, seguito dalla durata del trattamento (la durata limitata a 12 mesi fa pendere la bilancia a favore della combinazione di venetoclax + anti-CD20) che prevale su altre motivazioni incluso il profilo di tollerabilità.

 

Se nel profilo di comorbidità compare la fibrillazione atriale in terapia anti-coagulante ed anti-aritmica la quota di partecipanti a favore di venetoclax + obinutuzumab sale a oltre il 56% ed acalabrutinib supera ibrutinib (22% vs 12%), verosimilmente in considerazione dei risultati dello studio ELEVATE RR che documentano una minor frequenza di eventi avversi di tipo cardiovascolare con un BTKi di seconda generazione rispetto al capostipite. Lo stesso shift si conferma e si accentua nel caso di infarto miocardico che richiede terapia anti-aggregante (quasi 60% venetoclax + obinutuzumab, 19% acalabrutinib, 10% ibrutinib).

 

La scelta diventa più complicata se, tra le comorbidità, il paziente riporta la presenza di un’insufficienza renale (creatinina clearance 35 ml/min) che, in relazione al rischio di sindrome da lisi tumorale, riduce la percentuale di partecipanti che sceglierebbe venetoclax + obinutuzumab (sceso al 38%) e porta ad un incremento delle prescrizioni di acalabrutinib (28%), seguito da ibrutinib (quasi 21%).

 

Come suggerito da uno di voi, sarà interessante in futuro valutare come altri fattori che incrementano il rischio di TLS (linfoadenopatie bulky, splenomegalia) possano avere un impatto sulla decisione terapeutica.

 

Interessante notare che in tutti questi scenari lo zoccolo duro dei supporters della chemioimmunoterapia rimane stabile attorno al 10% con un rapporto di circa 1.5:1 a favore di FCR, tranne che nell’ultimo scenario, dove, come ci si poteva attendere, l’alterazione della funzione renale (cruciale soprattutto nel metabolismo della fludarabina) porta a privilegiare BR.

 

Chiudiamo con un appello ai due Colleghi che nell’ultimo scenario hanno selezionato l’opzione “altro” ma non hanno riportato nei commenti la loro scelta terapeutica: mandateci email/commento sul web/messaggio in bottiglia/piccione viaggiatore, ma fateci sapere quale sarebbe stata la Vostra scelta.

 

 

Grazie ancora della Vostra attiva partecipazione.

 

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