CASO CLINICO: PAZIENTE CON LINFOADENOMEGALIE – Risultati e commento al sondaggio

Grazie a tutti della partecipazione al nostro nuovo sondaggio, ci fa piacere vedere che il numero dei partecipanti è in aumento settimana dopo settimana.

 

Il caso clinico di Emilio ci dà nuovamente occasione di riflettere sulla definizione della progressione di malattia e della distinzione rispetto alla necessità di iniziare un trattamento.

 

All’inizio della storia, Emilio manifesta in effetti alcune alterazioni dovute alla leucemia linfatica cronica, in particolare, oltre alla linfocitosi, una lieve anemia (Hb 11.8 g/dl) e linfoadenopatie poli distrettuali di 3 cm segnalate in aumento rispetto al precedente controllo.

In generale viene giustamente favorito un atteggiamento di vigile attesa, con 1/3 di voi che nel frattempo ritiene saggio cominciare ad approfondire il quadro mediante soprattutto l’imaging dell’addome per valutare eventuali linfoadenopatie profonde, che in prima battuta si avvale della metodica ecografica.

 

Solo pochi (5%) si fanno prendere dalla fretta di iniziare una terapia, decisione che in effetti appare un po’ azzardata considerando il carico di malattia nel complesso limitato e che è un primo riscontro.

 

Gli approfondimenti effettuati documentano che all’ingrandimento dei linfonodi superficiali corrisponde un incremento dimensionale delle linfoadenopatie profonde che raggiungono le dimensioni di 4.5 cm. Qui la scelta del passaggio successivo si fa più combattuta e la maggior parte dei partecipanti ritiene necessario “approfondire”, quasi il 30% con metodiche di imaging (TC o PET), un 11% con la biopsia osteomidollare, 1 partecipante su 4 vuole valutare l’assetto biologico della malattia (IGHV, FISH, TP53) verosimilmente in previsione di un possibile inizio della terapia, mentre il partito del watch&wait supera di poco il 20%.

Ciò nonostante, la decisione di proseguire il monitoraggio continua a rimanere l’opzione preferibile dato che, allo stato attuale, le linfoadenopatie si mantengono di dimensioni contenute e che molti degli accertamenti proposti (inclusa la valutazione dei parametri biologici) non aggiungerebbero informazioni che potrebbero far cambiare la propensione al trattamento.

 

Al successivo controllo al quadro di Emilio si aggiungono la linfocitosi e una lieve splenomegalia e queste caratteristiche portano ad una netta scelta di campo: da una parte i fautori del follow-up (circa 40%) e, dall’altra, i sostenitori della necessità di trattamento (anch’essi poco più del 40%), anche se per due diverse motivazioni (incremento della linfocitosi 24%, aumento delle linfoadenopatie 17%).

È interessante notare che nelle stesse circostanze, la conoscenza del profilo biologico (domanda #6) non modifica in maniera sostanziale le posizioni (fautori del follow-up 49%, sostenitori della terapia 37%), di fatto giustamente sottolineando come le caratteristiche biologiche non ci aiutino a definire l’indicazione al trattamento ma ci supportino nell’identificare la strategia terapeutica più appropriata, quando la terapia si rende necessaria.

 

In merito alle sorti di Emilio, la scelta di iniziare il trattamento continua a non convincere: dato il benessere soggettivo ed il carico contenuto di malattia sembra in effetti più nell’interesse del paziente in questa fase di malattia, la prosecuzione del follow-up clinico-laboratoristico come indicato da quasi metà dei partecipanti. E a chi obietta che pure c’è stato il raddoppio nella linfocitosi, l’azzeccagarbugli che è in noi suggerisce di guardare la postilla delle linee guida che sotto i 30.000 linfociti di partenza poco importa anche il raddoppio (ma anche sopra, conta poi davvero come parametro isolato…?).

 

Grazie ancora per la numerosa partecipazione, al prossimo sondaggio.

 

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